Descrizione
Garzanti; 1972; Noisbn ; Rilegato con sovracoperta; 22 x 14,5 cm; pp. 364; Terza edizione. ; piccole lacerazioni ai bordi della sovracopertina, interno ottimo, scheda editoriale di Pier Paolo Pasolini; Buono (come da foto). ; Sandro Penna, a chi glielo chieda, risponde che non scrive più poesie ne ha scritte tante, e ora basta, Chissà se è vero. Comunque, in quella piccola, deliziosa casbah che è la sua casa romana, dove tra tanti ritagli di giornali e carte spuntano disegni e piccoli oli di Mafai, c’era senz’altro un cassetto, o uno stipo, dove erano nascosti i foglietti di suoi meravigliosi versi che mai hanno visto la luce. Li ha tirati fuori ora, e dice che sono gli ultimi. Questa raccolta vuole essere, dunque, quella completa: un tutto Penna legato insieme, aureo corpus di un poeta quanto mai prezioso e raro. E oggi, che possiamo supporre di averli tutti sotto mano, questi magici versi, come penetrarli, cosa raccogliervi? I lettori di Penna cominciarono col sottolinearne la grazia e la dolcezza, il candore o il prodigio. Fecero i nomi dei lirici dell’Antologia Palatina, o di Matisse: ma provarono così di aver subito impressionisticamente il fascino di una cantabilità ai limiti dell’esprimibile, o quello, chiarissimo, del l’infallibilità della parola. La cantabilità penniana è un fatto, come un fatto è la sua infallibilità. Ma sono fatti che funzionano da schermo. A superare questo schermo ci hanno provato, con risultati variamente felici, alcuni critici. Pier Paolo Pasolini è risalito, dall’eros indisciplinato di Penna, a definire un’esperienza autre, poetica e psicologica. Alfredo Giuliani ha parlato di sdoppiamento: Penna si guarda vivere con gli occhi di una cheta follia, Cesare Garboli ha visto invece l’ispirazione del poeta muoversi “quasi sempre da un grado zero di depressione” ; un patema variato su toni che vanno dalla rassegnazione a un gonfio dolore. Sono tre strade che devono portarci appunto oltre la patina conchiusa e dorata dietro cui Penna sembra avvolgersi. Una sua quartina si apre con parole singolari: «Qui brucio la mia vita». Ecco, per noi Penna è colui che ha affidato ai foglietti sparsi dei suoi versi l’ininterrotta vicenda di una tragedia. Al di là della ferita, al di là del delirio, è rimasta una traccia lieve e impalpabile di cenere: una cenere mobilissima che, forse mossa da un irresistibile magnete, va figurando caleidoscopicamente sagome di vita, ombre, o proiezioni di attimi felici, di attimi di orribile turbamento. Sembrano rimembranze di sogni : « La vita… è ricordarsi di un risveglio triste in un treno all’alba. » La tragedia sta nell’aver sperimentato l’impossibilità della vita se non come eco di se stessa. E la poesia nasce nel momento in cui di questa tragedia se ne rappresenta l’aspetto più incisivo e segreto: lo stregante ritmo onirico. L’esistenza è tragica perché è ambigua, perché è una droga: ci illude e ci respinge, ci stimola ad assecondarla, – ed è stimolo ben feroce questo, che ci riconduce verso una mai frenata replica del dolore. Sandro Penna tutto questo ha cantato, nella imperscrutabile lontananza della poesia, in canzoni tra le più alte del Novecento, – e il suo canto, limpido e chiaro, ci arriva come alla luce di un tiepido sole in un mattino d’inverno agli sgòccioli. ; Spedizione veloce con BRT. L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.