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Pittura del Cinquecento a Napoli 1573-1606 L’ultima maniera. Pierluigi Leone De Castris. Electa, 1991.

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Descrizione

Electa Napoli ; 1991; Noisbn ; Rilegato in tela con titoli al dorso, sovracoperta e cofanetto; 30x 26,5 cm; pp. 360; Prima edizione. Volume riccamente illustrato a col. e b./n. ; Presenta minimi segni d’uso ai bordi (senza mancanze nè lacerazioni, piccole imperfezioni), interno pulito; Molto buono, (come da foto). ; La pittura napoletana di fine Cinquecento è poco nota ed ancor meno apprezzata. Quindici anni fa Giovanni Previtali prendeva anzi spunto da una tale situazione di cose per affermare l’esistenza di una vera e propria «questione meridionale» all’interno del panorama critico sull’intero Cinquecento italiano. I suoi studi degli anni settanta sono stati certo importanti per fare breccia entro questa incomprensione; così come lo erano stati, ancor prima, negli anni cinquanta, quelli di Ferdinando Bologna, ed infine – non lo si ricorda forse abbastanza quelli, fra Otto e Novecento, di Wilhelm Rolfs, di Giuseppe Ceci e dei tanti studiosi locali intenti a scavare negli archivi l’indispensabile supporto documentario a questa conoscenza, primi fra tutti Gaetano Filangieri e Giovan Battista D’Addosio. Eppure l’equivoco d’una pittura napoletana depressa, mediocre, modesta, miracolosamente risuscitata dall’arrivo di Caravaggio in città nel 1606, si perpetua, si è perpetuato sino ad oggi, almeno nel senso comune. Di fronte ai nomi di Curia, di Imparato, di Santafede, di Teodoro d’Errico non dico di Girolamo d’Avitabile o di Giulio dell’Oca – scrollate di spalle, ironie, giudizi deprimenti. La realtà non è questa. La realtà è che l’impatto di Caravaggio fu tanto più straordinario e deviante sotto il profilo formale proprio perché la città, il Viceregno, ospitavano in quel mentre una brillante stagione di cultura artistica tardo-manierista; la realtà, infine, è che la vicenda stessa dei «caravaggeschi» napoletani nasce da bisogni devozionali, da un clima di riforma dell’immagine sacra che non è lecito separare quanto era andato maturando a Napoli già nel tardo Cinquecento. Premessa. 1. Prescrizioni tridentine. Il ruolo dell’artista e delle immagini nella Napoli della Controriforma. 2. Gli anni settanta, l’eredità di Marco Pino, quella di Buono e Lama e la disputa fra “maniera” e “pittura devota”. 3. 1573: l’ondata fiamminga. Cornelis Smet e Teodoro d’Errico. capofila della “maniera tenera” al Sud. 4. La colonia fiamminga nel Meridione. Mytens, Cobergher e gli altri. 5. Francesco Curia e l’apice espressivo della “maniera tenera”. 6. Equilibrio e dialettica generativa fra pittura devota ed eversione fantastica: Girolamo Imparato e Giovann’Angelo D’Amato. 7. Il cantiere della Certosa di San Martino. 8. Belisario Corenzio, Luigi Rodriguez e la grande decorazione a fresco nella Napoli a cavallo tra Cinque e Seicento. 9. Realismo domestico: il ruolo di Scipione Pulzone e l’apporto toscano di fine secolo. 10. Fabrizio Santafede campione della nuova pittura devota. 11. Oltre Caravaggio. Borghese, Azzolino e la prosecuzione della tendenza «riformata» nei primi decenni del Seicento. Regesti. Bibliografia. Indice dei nomi. Indice dei luoghi e delle opere. ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.