Descrizione
Mondadori (Il bosco 124); 1963; Noisbn; Copertina flessibile ; 20 x 13,5 cm; pp. 288; Traduzione di Alessandro Gallone. Prima edizione nella collana. ; Presenta segni d’uso ai bordi (piccole imperfezioni), dorso con segni di lettura, interno senza scritte, timbro alla prima pagina, volume lievemente brunito; Buono, (come da foto). ; Il racconto è basato sulle esperienze vissute di una quattordicenne fanciulla ebrea e si svolge dapprima nel ghetto di una piccola città polacca, poi in un campo di lavoro e quindi in un campo di prostituzione. L’istituzione dei campi rispondeva a precise direttive e a un’unica organizzazione il cui scopo finale era la distruzione in massa dei nemici del nazismo, ebrei e comunisti, tedeschi e stranieri, dopo aver sfruttato fino all’inverosimile la loro forza-lavoro a un minimo costo. I sopravvissuti a questi lavori forzati, che non erano piú in grado di offrire una “prestazione” di qualche utilità venivano sterminati. Ma anche dopo la loro morte alcuni industriali riuscivano a ricavare profitti dai loro corpi utilizzandone certe parti come materie prime per i loro prodotti. È noto che nel 1943 solo nelle fabbriche Krupp lavoravano ben settantacinquemila lavoratori coatti, che in vicinanza dei campi o addirittura all’interno di essi, come ad Auschwitz, venivano costruite delle fabbriche, veri e propri inferni dove uomini e donne lavoravano dalle dieci alle undici ore al giorno, vivendo e morendo in condizioni indescrivibili. Ciò che allora è accaduto, e che in questo libro è descritto, non è e non può essere il frutto casuale della pazzia o della criminalità di pochi squilibrati, ma l’estrema conseguenza di un sistema sociale fondato sulla oppressione e sullo sfruttamento, in pace come in guerra, ieri in Germania come oggi altrove. “… Gli abitanti del pianeta Auschwitz non avevano nomi. Non avevano né genitori né figli. Non si vestivano come si veste la gente qui. Non erano nati lí né lí concepivano. Respiravano secondo le leggi di un’altra natura e non vivevano né morivano secondo le leggi di questo mondo. Il loro nome era Ka-tzetnik e la loro identità era quella del numero tatuato nella carne dell’avambraccio sinistro.” ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.