La conquista del Messico. William H. Prescott. Einaudi, 1958.

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Descrizione

Einaudi (Saggi 239); 1958; Noisbn ; Rilegato con sovracoperta; 21,5 x 16 cm; pp. 896; Traduzione di P. Jahier. Prima edizione. Tavole a colori nel testo; piccole imperfezioni e segni d’uso alla sovracopertina; Buono (come da foto). ; Il libro, è da più di cent’anni considerato un classico dagli americani e dagli inglesi, sia tra gli specialisti di storia ispano americana, per cui quest’opera è un modello di ricerca, sia tra il più vasto suolo dei lettori comuni e dei giovani, affascinati dallo slancio epico e descritivo di questa straordinaria personalità di scrittore. Eppure, il Prescott non era stato prima d’ora tradotto in italiano, nonostante che la popolarità dello storico americano si fosse ben presto estesa in Francia e in Germania oltre che nella stessa Spagna. Il libro si apre con una suggestiva ricostruzione non superata dalla storiografia successiva della civiltà azteca e dei si vari aspetti, prima della Conquista, dai mosaici di piume ai sacrifici umani In questo mondo remoto, immobile e pur raffinato sbarcano i soldati d’un mondo. Tutto diverso, in preda alla smania di nuove scoperte e conquiste, animato in ugual misura da fanatismo religioso e da avidità di ricchezza. Sono i conquistadores spagnoli, e tra loro domina la figura di Hernán Cortés, che diventa il protagonista del libro, visto in tutte le sue ombre ma anche nella sua genialità di capitano e di politico. Di fronte a Cortés, l’amletico personaggio del suo antagonista, l’imperatore Montezuma, che si muove sotto l’incubo d’una sinistra profezia: l’arrivo di semidei barbuti e dalle armi luccicanti. Gli Spagnoli sono poco più di cinquecento uomini: gli Aztechi milioni. Ma gli Spagnoli hanno dalla loro il ferro (che gli Aztechi ignorano), i cavalli (animali sconosciuti nel Messico) e l’arte della diplomazia e talora del tradimento. L’eroica controffensiva degli Aztechi, che assediano la guarnigione degli invasori attestatasi nei palazzi imperiali di Città di Messico, si dispiega col respiro epico e tragico d’un’Iliade. Prescott ha ridato vita alle antiche cronache investendole della sua passione etica di puritano d’America, d’uomo che vive la tragedia dei vinti ma, da storico obiettivo, sa valutare le ragioni che portano Cortés alla vittoria. Alla popolarità di Prescott (nato a Salem nel 1796) ha contribuito fortemente anche la sua lezione di vita, l’eroica lotta ch’egli sostenne per trionfare sull’avversità. La disgrazia che lo colpí mentre era in collegio a Harvard fu un fattore determinante per la scelta della sua carriera. Colpito in un occhio da una crosta di pane gettatagli per scherzo a tavola, perse dapprima l’occhio sinistro; poi, dopo la laurea, cominciando a declinare la vista dell’occhio destro, abbandonò l’ufficio legale del padre e, compiuto un inutile viaggio per le cliniche d’Europa, si ritirò a Boston, in una stanza semibuia, e si dedicò alla ricerca storica. Teneva davanti a sé un apparecchio per scrivere (« nottografo ») e prendeva appunti con uno stilo d’avorio mentre il suo assistente leggeva ad alta voce i documenti e le fonti. Questi appunti venivano riletti ed egli li rielaborava a memoria fino alla forma definitiva. Giunse ad educare la sua memoria fino a esser in grado di ritenere l’equivlente di sessanta pagine a stampa, ripetendosele mentalmente mentre passeggiava o andava in carrozza. Il suo primo lavoro importante fu la Storia del regno di Ferdinando e Isabella. Dopo aver cominciato una biografia di Molière, la interruppe per iniziare il lavoro della Conquista del Messico. Washington Irving, che aveva condotto ricerche nello stesso campo, si ritirò per favorire Prescott. A que st’opera monumentale Prescott lavorò per cinque anni e il volume apparve nel 1843 ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.