La via del samurai. Yukio Mishima. Bompiani, 1983.

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Descrizione

Bompiani (Nuovo Portico); 1983; Noisbn; Copertina flessibile con risvolti ; 20,5 x 12 cm; pp. 198; Introduz. F. Saba Sardi. Traduzione di P. F. Paolini . Prima edizione. .; leggeri segni d’uso alla copertina, ex-libris alla seconda di copertina, interno buono; Buono (come da foto). ; Yukio Miskuma ha scritto questo libro nel 1967, tre anni prima del suo dranimatico e spettacolare suicidio al Comando generale delle Jietai, le Forze di autodifesa del Giappone. È la sua interpretazione di un classico dell’etica del samurai, lo Hagakure (letteralmente, “nascosto tra le foglie”), in origine consistente di undici volumi compilati da Tsuramoto Tashiro che vi ha raccolto gli insegnamenti di Jöcho Yamamoto, un samurai vissuto verso la fine del XVII secolo e fattosi eremita dopo la morte del suo daimyo, il signore feudale. L’opera venne gelosamente custodita fino alla restaurazione Meji (1868) come un resto sapienziale della Casata Nebeshima e dei pochi samurai appartenenti all’Ordine di Saga nell’isola di Kyushu. Verso il 1930, in un clima di acceso nazionalismo, lo Hagakure venne riesumato e trasformato, alterandone completamente lo spirito, in una sorta di Bibbia del “Nuovo Grappone” Una celebre frase in esso contenuta, “Ho scoperto che la Via del samurai è la morte”, fu ridotta a parola d’ordine usata per incitare i kamikaze all’estremo sacrificio. Dopo la seconda guerra mondiale e la sconfitta, l’opera venne messa al bando come sovversiva, non rispondente allo spirito del “Giappone moderno” Commentando lo Hagakure, Mishima applica alla società nipponica del suo tempo le critiche che l’antico samurai rivolgeva ai suoi contemporanei, dimentichi delle antiche virtù, dediti solo ai piaceri minuti. Il Giappone moderno, sostiene Mishima, ha “completamente rimosso l’impulso alla morte”, tradendo i suoi severi ideali E questo il centro del discorso di Mishima. Perché in ef fetti, come fa osservare Francesco Saba Sardi nella sua prefazione, lo Hagakure di Yamamoto-Tashiro e quello di Mishima sono una “meditazione sulla morte” che si rifa ai principi dello Zen, l’interpretazione giapponese del buddismo. Sarebbe dunque errato leggere questo libro in chiave “politica”, contingente: esso va invece collocato in un’ottica assai più ampia, quale un’esortazione al Sein zum Tode, all'”essere per la morte” heideggeriano in versione estremorientale. Un’opera di valore universale, estremamente ambigua e contraddittoria, come del resto I'”etica del samurai”, sempre sospesa sul crinale tra regola ed eccesso, amore per la vita e fascino per l’oscuro, il tenebroso, l’indicibile. Nel suo commento, poi, lo scrittore suicida rivela quanto precaria e indelimitabile sia la zona grigia che separa e congiunge vita e arte. Un messaggio enigmatico, dunque, che non si può ridurre a slogan senza che si perda l’alone e la risonanza, un messaggio sul quale converrà riflettere a lungo, come sul seppuku del sus autore. Il mistero (non la religione) della morte è il suo tema, e Mishima qui si rivela, una volta di più, quel maestro di “oscura chiarezza” che la sua opera di narratore ha splendidamente rivelato ai lettori di tutto il mondo. ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.

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Peso 1 kg