Descrizione
Einaudi; 1987; 9788806596187 ; Rilegato con sovracoperta; 12,5 x 14,5 cm; pp. 207; Traduzione di G. Guglielmi ; minimi segni d’uso alla sovracopertina, interno ottimo; Molto buono, (come da foto). ; Nel 1952 Céline torna a Parigi dopo la prigionia e gli arresti domiciliari che ha subito in Danimarca. È un nemico della patria, un caso imbarazzante: l’autore dei famigerati libelli antisemiti, un uomo e uno scrittore che tutti vorrebbero dimenticare. Gravemente debilitato nel fisico, Céline riprende il suo vecchio mestiere di medico a Meudon, e accudisce una clientela di poveracci cui non osa chiedere l’onorario. Tormentato dall’insonnia, ricomincia a scrivere circondato dagli animali che girano per casa: gatti, cani, pappagalli… Féerie pour une autre fois, pubblicato da Gallimard in quello stesso 1952, è il libro con cui Céline tenta di riprendere un po sto nelle patrie lettere. E lo fa a suo modo, cioè attaccando tutto e tutti, cercando una resa dei conti, scagliando il suo rancore contro persecutori veri e presunti, sfrenando la sua vocazione di vittimista. Eppure sembra trovarsi a suo agio in quel clima di scontro totale: «È l’odio che mi tiene sul flutto!» All’apertura del libro siamo a Parigi nel 1944, poco prima che Céline, inseguito dalle minacce di Radio Londra, decida la fuga in Danimarca (la Baltavia), attraverso la Germania. Nel suo appartamento al settimo piano di Rue Girardon, a Montmartre, da cui crede di controllare i movimenti di spie e nemici, Céline riceve una visita interessata, quella di una vecchia amica che si guarda intorno con l’aria di chi già pregusta la ormai prossima presa di possesso di quelle stanze. Il racconto deflagra rapidamente, diventa pura invettiva, accumula sulla pagina, come stravolti da un vortice ciclonico, i detriti di un’intera vita: l’infanzia al Passage Choiseul con la madre merlettaia, le sfilate con i Corazzieri, le ferite riportate in guerra, l’Africa, la medicina degli ambulatori di periferia, «la piccola religione della danza» (cioè la passione per le ballerine), le sofferenze danesi, le supposte persecuzioni dei giudici e dei «patrioti» che gli devastano l’appartamento, distruggendo sette manoscritti. Un ribollente inferno di voci, di urli, di rumori primordiali, contro cui si batte, unico campione di un’umanità non degradata, la moglie Arlette-Lilí. «Al principio era l’emozione… Ho voluto una prosa che nasce come la musica, senza mediazioni»: cosí Céline in una intervista di quegli anni. Qui la musica céliniana è una sorta di furibonda partitura jazz, arrischiata su ogni oggetto capace di produrre un suono, quasi in un disperato corpo a corpo con i propri strumenti, fra percussioni inaudite, borborigmi e onomatopee che sembrano saggiare le potenzialità estreme della letteratura. Una sfida immane anche per un maestro di versioni céliniane quale è Giuseppe Guglielmi; una provocazione che non risparmia l’editore (le «ennerreffe») e i lettori: «… Avete delle teste molto troppo smilze… prima di tutto c’è la vostra ignobile maniera di leggere… fissate manco una parola su venti… guardate lontano, stremati…» ; L’immagine se disponibile, corrisponde alla copia in vendita.